giovedì 3 marzo 2016

Spese straordinarie figli coniuge non affidatario contrario.

In alcune recenti pronunce (ordinanza n. 1675/2015, ordinanza n. 2127/2016 e ordinanza n. 4182/2016) la Cassazione ha stabilito che il coniuge non affidatario dei figli è comunque tenuto, anche se contrario, a rimborsare al coniuge affidatario la metà delle spese straordinarie da quest'ultimo sostenute.
Le pronunce in esame si rifanno ad una precedente decisione della Corte Suprema nella quale si affermava che “non è configurabile a carico del coniuge affidatario o collocatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l'altro, in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, compatibili con i mezzi economici di cui i genitori dispongono trattandosi di decisione di maggiore interesse per il figlio, e sussistendo, pertanto, a carico del coniuge non affidatario un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso”. Ciò in quanto, prosegue il Giudice di legittimità, l'"educazione e l''istruzione dei figli, non esiste a carico del coniuge affidatario dei figli un obbligo di concertazione preventiva con l'altro coniuge in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, nei limiti in cui esse non implichino decisioni di maggior interesse per i figli"  non risulta, dunque, configurabile in capo al coniuge affidatario "un obbligo di concertazione preventiva con l'altro genitore, in ordine alla effettuazione e determinazione delle spese straordinarie, che, se non adempiuto, comporta la perdita del diritto al rimborso".
Ove poi, conclude la Corte, il coniuge non affidatario opponga il proprio diniego "il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all'interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell'entità della spesa rispetto all'utilità derivante ai figli e della sostenibilità della spesa stessa, rapportata alle condizioni economiche dei genitori".
In sintesi, il padre, nella maggior parte dei casi coniuge non affidatario, rimane tenuto a contribuire alle spese straordinarie per i figli, anche se non sono state preventivamente concordate poiché ciò che prevale è l’interesse prioritario della prole sempre che si tratti di cosa utile e che le spese sostenute non siano sproporzionate al tenore di vita. 

Cass. Civ., Sez. I, 26/09/2011 n. 19607

mercoledì 13 gennaio 2016

Danno da nascita indesiderata.

Nel mese di febbraio del 2015, la III Sezione Civile della Corte di Cassazione, rilevata l’esistenza di diversi e contrapposti orientamenti giurisprudenziali in materia, rimetteva dinanzi alle Sezioni Unite l'annosa e spinosa questione riguardante il danno da nascita indesiderata e, in particolar modo, a chi spetti la legittimazione ad agire in tali ipotesi.
Le Sezioni Unite Civili, a risoluzione del contrasto sulla responsabilità medica per nascita indesiderata e sulla conseguente legittimazione ad agire, hanno fissato i due seguenti principi: 
a) la madre è onerata dalla prova controfattuale della volontà abortiva, ma può assolvere l’onere mediante presunzioni semplici; 
b) il nato con disabilità non è legittimato ad agire per il danno da “vita ingiusta”, poiché l’ordinamento ignora il “diritto a non nascere se non sano”.
In sintesi, i Magistrati di legittimità hanno stabilito che non esiste un diritto a non nascere poiché è la vita e non la sua negazione il bene tutelato dal nostro ordinamento
Contestualmente le Sezioni Unite hanno anche ritenuto ammissibile l’azione del minore, volta al risarcimento di un danno che assume ingiusto, cagionatogli durante la gestazione, ciò in quanto è ben possibile che tra causa ed evento lesivo intercorra una cesura spazio-temporale, tale da differire il relativo diritto al ristoro solo al compiuto verificarsi dell’effetto pregiudizievole, purché senza il concorso determinante di concause sopravvenute.


lunedì 21 dicembre 2015

Assegno di mantenimento godimento casa familiare.

La Corte di Cassazione con ordinanza del 17/12/2015 ha stabilito che nel determinare la misura dell'assegno di mantenimento a carico di uno dei coniugi in favore dell'altro coniuge o dei figli, il giudice deve tener presente che il godimento della casa coniugale costituisce un valore economico.
Il Giudice, pertanto, dovrà tenere conto dell'assegnazione della casa coniugale nel momento in cui è chiamato a determinare la misura dell'assegno di mantenimento a favore di uno o dell'altro coniuge.
In particolare i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato che "in tema di separazione personale dei coniugi, il godimento della casa familiare costituisce un valore economico - corrispondente, di regola, al canone ricavabile dalla locazione dell'immobile - del quale il giudice deve tener conto ai fini della determinazione dell'assegno dovuto all'altro coniuge per il suo mantenimento o per quello dei figli".

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza n. 25420 del 17/12/2015

venerdì 27 novembre 2015

Le somme versate a titolo di mantenimento non sono ripetibili.

In una recente pronuncia del 16 novembre la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione ha stabilito che "la decisione che nega il diritto del coniuge al mantenimento o ne riduce la misura non comporta la ripetibilità delle maggiori somme corrisposte in forza di precedenti provvedimenti non definitivi, qualora, per la loro non elevata entità, tali somme siano state comunque destinate ad assicurare il mantenimento del coniuge fino all'eventuale esclusione del diritto stesso o al suo affievolimento in un obbligo di natura solo alimentare, e debba presumersi, proprio in virtù della modestia del loro importo, che le stesse siano state consumate per fini di sostentamento personale".
In buona sostanza gli ermellini, ribadendo un principio già affermato in precedenti decisioni, hanno stabilito che il coniuge onerato dell'assegno di mantenimento non ha diritto a vedersi restituite le eventuali maggiori somme corrisposte sia in caso di riduzione dell'assegno di mantenimento a seguito di divorzio sia in caso di ribasso dell'assegno di mantenimento determinato nella fase presidenziale. 
Cass. Civ. Sez. VI, ordinanza 16/11/2015 n. 23409

Quota TFR alla ex moglie anche se il marito si è risposato

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 24184 del 26/11/2015, ha stabilito che la ex moglie mantiene il diritto ad una quota del TFR del marito, anche nel caso in cui questo abbia contratto nuove nozze.
Allo stesso modo, il coniuge divorziato ha diritto ad una quota su eventuali anticipi di TFR percepiti in costanza di rapporto di lavoro, a meno che l'onerato non provi che l'ex moglie aveva già percepito tali quote "prima dell'instaurazione del giudizio divorzile, ovvero durante la convivenza matrimoniale o nel corso della separazione"
Ne deriva che al momento della liquidazione del trattamento di fine rapporto il marito è tenuto a corrispondere alla moglie divorziata una quota di quanto percepito.
Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 26/11/2015 n. 24184.

lunedì 23 novembre 2015

Assegno di mantenimento ridotto notevolmente od annullato per chi si accolla il mutuo.

La sproporzione dei redditi fra i coniugi e la maggiore disponibilità economica di uno dei due non impedisce una drastica riduzione dell'assegno di mantenimento qualora il soggetto tenuto a corrisponderlo si sia accollato il pagamento di un mutuo.
Il principio è stato fissato dai Giudici di Legittimità nell'ordinanza n. 22603 del 5 novembre 2015, che di seguito si riporta testualmente:
Fatto e diritto 
Rilevato che in data 19 maggio 2015 è stata depositata relazione ex art. 380 bis c.p.c. che qui si riporta: 
Rilevato che: 
1. Il Tribunale di Novara, con sentenza del 23 giugno — 2 luglio 2009, ha dichiarato la separazione dei coniugi L.M. e B.C. respingendo le reciproche domande di addebito e imponendo al C. un assegno mensile di mantenimento in favore della M. di 200 euro. 
2. Ha proposto appello L.M. insistendo nella domanda di addebito e chiedendo che l’assegno mensile venisse elevato a 1.300 euro. 
3. Ha proposto appello incidentale B.C. insistendo anch’egli nella domanda di addebito e chiedendo la revoca dell’assegno di mantenimento.
4. La Corte di appello di Torino, con sentenza del 27/28 dicembre 2012 ha respinto il ricorso principale e accolto quello incidentale limitatamente alla revoca dell’assegno di mantenimento. 
5. Ricorre per cassazione L.M. che si affida a due motivi di impugnazione. 
6. Si difende con controricorso B.C. 
Ritenuto che: 
7. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ex art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare degli artt. 151 c.c., 143 c.c., 2697 c. c. nonché, ex art. 360 n. 5 c.p.c., omesso esame circa fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione tra le parti. 
8. Il motivo, proposto ex art. 360 n. 3 c.p. c. è inammissibile perché non spiega in alcun modo le ragioni per cui ritiene violate le norme indicate nella rubrica (cfr. Cass. Civ. sezione Sex. 6 -. 5 ord. n. 635 del 15 gennaio 2015 secondo cui “Quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l`interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità). Il motivo proposto ex art. 360 n. 5 c.p.c. é inammissibile perché non indica il fatto la cui valutazione sarebbe stata omessa dalla Corte di appello. In sostanza il motivo consiste nel ritenere attendibile la deposizione della figlia della M., contrariamente a quanto ha fatto la Corte di appello che l’ha ritenuta mossa da animosità nei confronti del C. e comunque autrice di una deposizione che attesterebbe fatti tali da non concretare la gravità della condotta ascritta al marito della madre né valutabili come causa della intollerabilità della convivenza. Le censure mosse dalla ricorrente attengono in realtà alla congruenza e completezza della motivazione e come tali devono considerarsi inammissibili per erronea sussunzione del vizio di violazione di norme di diritto (cfr. Cass. Civ. sezione III, n. 21099 del 16 settembre 2013) e per inottemperanza alle prescrizioni di cui al nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p. c. (Cass. Civ. S. U. n. 8053 del 7 aprile 2024).
9. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ex art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare dell’art. 156 c.c. 
10. Anche questo motivo di ricorso appare inammissibile per la mancanza, oltre che di una puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, della deduzione delle ragioni per cui le affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità. Anche questo motivo consiste nella contestazione della motivazione della Corte di appello che secondo la ricorrente avrebbe completamente trascurato la stridente capacità reddituale delle parti. Anche a voler considerare tale censura nell’ottica di una possibile violazione dell’art. 156 c.c. deve rilevarsi come l’impugnazione non colga la ratio decidendi basata proprio su una puntuale comparazione dei redditi delle parti che seppure non uguali (reddito mensile netto della M. di 1.400 euro a fronte del reddito mensile netto del C. di 2.600 euro) sono resi pressoché corrispondenti dalla circostanza per cui il C. è obbligato al pagamento di una rata mensile di mutuo pari a 990 curo, un mutuo che gli ha consentito di acquistare dalla M. la metà della casa coniugale e ha consentito alla M. di acquisire una casa di proprietà in cui abitare dopo la separazione. La Corte di appello ne ha dedotto che i redditi spendibili. dai due ex coniugi sostanzialmente si equivalgono e consentono ad entrambi una vita dignitosa e non sostanzialmente dissimile da quella condotta in costanza di matrimonio, circostanze che escludono il diritto della M. a un assegno di mantenimento gravante a carico del C..
11. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso. La Corte condivide tale relazione e pertanto ritiene che il ricorso debba essere respinto con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione. 
P.Q.M. 
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 2.200 euro, di cui 200 euro per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. Ai sensi dell’art. 13 comma i quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma  dell’art. 13, comma 1 bis, dello stesso articolo 13" .
In sintesi, il fatto di guadagnare molto di più, addirittura il doppio, rispetto all'altro coniuge, non determina automaticamente l'onere dell'assegno di mantenimento a carico del soggetto più facoltoso, ciò in quanto non si può prescindere dal calcolo delle spese idonee a ridurre il reddito del coniuge obbligato, prime fra tutte quelle di alloggio (canone di locazione o mutuo) e sanitarie, la cui presenza rende di fatto paritari i due tenori di vita.
Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 05/11/2015 n. 22603 

venerdì 20 novembre 2015

Niente assegno di mantenimento al coniuge in grado di poter lavorare.

Vita dura per le ex, in rarissimi casi anche i pochissimi ex che usufruiscono dell'assegno di mantenimento posto a carico della moglie.
Nella pronuncia in questione, scaricabile integralmente tramite il link che segue, la Cassazione ha ribadito il principio che già aveva fissato in precedenti decisioni, secondo il quale in caso di divorzio non spetta l'assegno di mantenimento a favore della moglie ove questa sia ancora in età da lavoro, tanto più se il marito è rimasto disoccupato.
Nel caso in oggetto, la moglie casalinga si è vista negare l'assegno di mantenimento proprio in virtù del fatto che, attesa la sua capacità lavorativa, la sua pretesa di continuare a fare la casalinga è stata ritenuta non meritevole di tutela.
Gli ermellini specificano che “per poter valutare la misura in cui il venir meno dell’unità familiare ha inciso sulla posizione del richiedente è necessario porre a confronto le rispettive potenzialità economiche, intese non solo come disponibilità attuali di beni ed introiti, ma anche come attitudini a procurarsene in grado ulteriore”.
In buona sostanza il coniuge ancora in possesso di risorse fisiche e mentali per poter lavorare non può invocare l'assegno di mantenimento a proprio favore.